Malato di cancro, raccontò per la Stampa l’inferno dei malati terminali. La Fondazione a lui intitolata che ha dato vita alla Giornata del sollievo, lo ricorda a 50 anni dalla morte
Ho un cancro e lo so, parliamone insieme». Un paziente spettinato, in pigiama, vestaglia e pantofole pronuncia per la prima volta in televisione la paurosa parola proibita. Al Policlinico Umberto I di Roma lo riprendono le telecamere di “Orizzonti della scienza e della tecnica”, in onda sul secondo canale Rai. Sul primo si trasmette “La domenica sportiva”, che in pochi minuti si vede portar via 8 milioni di italiani. Rinunciano ai risultati e ai commenti delle partite per ascoltare quell’uomo, circondato dalla sofferenza, mentre intervista primari e compagni di corsia. Scippo clamoroso in un tempo ancora senza Internet e telefonini. A fissare nella storia della tv italiana la sera del 17 maggio 1973 è Gigi Ghirotti, 52 anni, di Vicenza, dove tornerà per morire il 17 luglio 1974, cinquant’anni fa. Giornalista de La Stampa, cronista politico della redazione romana, ha fatto a lungo l’inviato speciale. Uscito da un consulto medico in cui gli è stato diagnosticato il morbo di Hodgkin, linfoma allora incurabile, si confida con il collega Vittorio Gorresio: «Sai che ti dico? Penso di poter fare un buon servizio da inviato nel tunnel della malattia del secolo». Il direttore Arrigo Levi è d’accordo. Il “Lungo viaggio nel tunnel della malattia” esce a puntate in Terza pagina e commuove l’Italia. Malato tra i malati, Ghirotti conduce l’inchiesta estrema negli ospedali pubblici «dove il caos non si ferma in astanteria». Batte a macchina gli articoli in un angolo di corsia accanto a un telefono a gettoni appeso al muro dal quale chiama i colleghi al giornale. Smaschera le condizioni dei pazienti «soggetti agli estri della casualità, come i numeri del lotto. (…) Chi ha lo stomaco debole, i nervi fragili, il sonno cagionevole si sentirà esposto da duri stress da vitto e da condizioni generali di lesa privacy»: camerate rumorose, sveglie precoci con finestre spalancate, pessimo cibo, medici, infermieri che danno del tu ai ricoverati, non rispondono alle loro domande, negano spiegazioni sulle malattie e sulle terapie. «Bisogna stare molto bene in salute, per potersi permettere il lusso di star male».
La televisione, non ancora inquinata dai ring politici e dall’informazione spettacolo, trasforma l’inchiesta in un caso nazionale. «Un attacco agghiacciante, un incontro sospeso tra il reportage di alta classe e la tragedia», scrive sul settimanale Epoca Guido Gerosa. Sul Corriere della Sera Vittorio Notarnicola commenta: «Un’ora da mozzare il fiato, una prova estrema di coraggio e di fedeltà alla professione». Un anno dopo, il 4 giugno 1974, l’inviato nel tunnel della malattia riappare sul piccolo schermo da altri ospedali: Bagnoregio, Asiago, Vicenza. Tra i compagni di angherie, il primario che s’era fatto ricoverare in incognito per condividerle con i degenti, ma aveva resistito solo due giorni. «Dunque non è una questione di Nord e di Sud, di grandi o di piccoli ospedali», spiega Ghirotti, il viso smagrito, la voce affaticata. «Diciamo che il demone dell’indifferenza al dolore umano è in agguato dovunque e più facilmente alligna nei grandi ospedali delle megalopoli, dove l’uomo viene spogliato della sua personalità e ridotto ad espressione aritmetica, e la civiltà subisce i suoi brucianti e umilianti insuccessi». Conclude il giornalista: «Molte potenti categorie professionali incrociano le armi sopra la testa del malato. Il suo peso contrattuale è zero. È il paziente per definizione. Il malato è l’unico perdente fisso di tutte le battaglie che si combattono in suo nome». Ma ha innescato un processo che renderà più umana la condizione dei ricoverati e avviato straordinarie iniziative d’aiuto ai malati terminali. In suo nome operano istituti e associazioni a Genova, Torino, Macerata, Bitonto, Oristano, in Abruzzo, in Basilicata. A Roma dal 1975 la Fondazione nazionale Ghirotti offre ascolto e assistenza ai malati di tumore e ai famigliari, in particolare per il dolore oncologico. Ne nasce la Giornata del sollievo.
Nel 2001 il professor Umberto Veronesi, ministro della Sanità, la fa trasformare per legge in un appuntamento nazionale l’ultima domenica di maggio. Di Gigi Ghirotti si parla nelle scuole, dove si legge il “Lungo viaggio nel tunnel della malattia”, l’inchiesta subito diventata un libro come lo erano diventate altre inchieste: “Italia mia benché” (1963), sul Paese che visse il miracolo economico; “Il magistrato” (1963), sulla condizione dei giudici; “Mitra e Sardegna” (1968), sul banditismo; “Rumor” (1970), biografia del presidente democristiano. «Era già giornalista a scuola», testimonia ne “I piccoli maestri” lo scrittore Luigi Meneghello, suo compagno al liceo classico Pigafetta di Vicenza. Raccontava di Enea «con l’aria di inviato speciale al seguito di quella casinistica crociera». Una passione che non ebbe tregua neanche negli anni dell’università a Padova (laurea in Letteratura francese con Diego Valeri), dell’arruolamento volontario negli Alpini paracadutisti (al primo lancio atterrò male rompendosi le gambe), dell’inerme esperienza partigiana (impugnò soltanto una pala per seppellire i morti). Cresciuto al Giornale di Vicenza diretto da Renato Ghiotto, compagni di strada Neri Pozza, Antonio Barolini, Goffredo Parise, approdò alla Stampa diretta da Giulio De Benedetti, dove trovò un altro vicentino: Guido Piovene. Oltre che per la capacità di inviato, era apprezzato per la sua scrittura che trasformava il rapimento, il processo, il delitto in un racconto di valore letterario. Alla fine gli sono stati vicini il poeta Andrea Zanzotto e Mario Rigoni Stern, testimone di guerre e cantore di boschi e di animali, che pubblicò la Storia di Tönle dopo averla narrata a Gigi, guardando insieme un tramonto sull’Altopiano di Asiago.